blogCapsaicina nel trattamento della Sindrome della Bocca Urente: una promettente ricerca in corso

Capsaicina nel trattamento della Sindrome della Bocca Urente: una promettente ricerca in corso

La sindrome della bocca urente (BMS), nota anche come glossodinia, presenta una eziopatologia complessa, in parte ancora sconosciuta. Un team di ricercatori guidato da André Luís Porporatti del Laboratorio di Neurobiologia Oro-Facciale dell’Université Paris Cité ha condotto uno studio approfondito su questo argomento, focalizzandosi principalmente sulle possibili relazioni tra la malattia e lo stress. I risultati di questo studio sono stati pubblicati sul Journal of Oral Rehabilitation e sono di notevole rilevanza e utilità, paragonabile ad un’altra ricerca condotta in Norvegia dal professor Preet Bano Singh dell’Università di Oslo.

La sindrome della bocca urente e il suo legame con lo stress

Numerosi studi hanno indicato che la BMS è spesso associata a disturbi psicosociali e psichiatrici, mettendo in evidenza lo stress come un significativo fattore di rischio. Lo studio condotto a Parigi si è concentrato su una meta-analisi al fine di rispondere a un’importante domanda: “Esiste un’associazione tra la sindrome della bocca urente e lo stress?”.

Metodologia dello studio

I ricercatori hanno condotto una ricerca su cinque database principali e tre fonti di letteratura grigia per identificare studi che indagano s’è effetto dello stress sulla sindrome della bocca urente. Sono stati esaminati diversi questionari e biomarcatori. Tra i 2.489 articoli selezionati, 30 soddisfacevano i criteri di inclusione. Questi studi includevano questionari come il Questionario dello Stress Percepito, l’Inventario dei Sintomi dello Stress di Lipp, la scala di Holmes-Rahe, la scala di Depressione, Ansia e Stress (DASS-21), il Test delle Esperienze Recenti e vari biomarcatori quali cortisolo, opiorfina, IgA, α-amilasi e interleuchine.

Risultati dell’analisi

I ricercatori hanno scoperto che lo stress era significativamente più elevato nel gruppo affetto dalla sindrome della bocca urente rispetto ai gruppi di controllo composti da soggetti sani. I pazienti con BMS presentavano livelli di cortisolo superiori del 25,73%, livelli di IgA superiori del 28,17% e livelli di α-amilasi superiori del 40,62% rispetto ai controlli. La meta-analisi ha confermato che i soggetti con BMS avevano livelli di cortisolo superiori di 3,01 nmoL/L, livelli di α-amilasi superiori di 84,35 kU/L, livelli di IgA superiori di 29,25 mg/mL e livelli di IL-8 superiori di 258,59 pg/mL rispetto ai controlli. Non sono state riscontrate differenze significative per quanto riguarda la concentrazione di opiorfina in ng/mL. Per quanto riguarda le interleuchine, non sono state trovate differenze per IL-1 β, IL-2, IL-4, IL-6, IL-8, IL-10 e TNF-α.

Strategie e ricerche future per alleviare i sintomi

Sulla base delle prove disponibili, questa meta-analisi suggerisce una chiara associazione positiva tra la sindrome della bocca urente e lo stress. I questionari hanno evidenziato un significativo aumento dello stress nei soggetti con BMS, mentre i biomarcatori come cortisolo, α-amilasi, IgA e IL-8 erano anche loro superiori nei pazienti con BMS rispetto ai gruppi di controllo. Inoltre, l’opiorfina e alcune interleuchine specifiche non hanno mostrato differenze significative. Pertanto, il controllo dello stress potrebbe rappresentare un primo passo fondamentale per affrontare questa patologia.

Un’altra prospettiva terapeutica è stata avanzata dalla pratica clinica del professor Preet Bano Singh, che propone l’uso dell’acido alfa-lipoico per alleviare i sintomi della bocca urente. Tuttavia, questo antiossidante risulta efficace solo nel 60% dei casi. Per superare questa limitazione, Singh sta collaborando con la professoressa Hanna Tiainen del Laboratorio di Ricerca Clinica della Facoltà di Odontoiatria dell’Università di Oslo per sviluppare un preparato a base di capsaicina. Questo composto organico, presente nei peperoncini, sembra in grado di attenuare i sintomi della BMS, anche se sorge la sfida di mantenerlo attivo all’interno della bocca, dove la saliva tende a rimuoverlo rapidamente dalla mucosa compromettendone l’efficacia nel tempo.

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